Ringraziando Ylenia per la sua testimonianza nel video di Freeda che ho visto sul sito della Dott.ssa Spotti. Condivido insieme a Voi un tratto del mio percorso personale e alcune riflessioni.

Mi chiamo Federica e ho 47 anni. L’anoressia l’ho vissuta, mi ha attraversata per almeno vent’anni, a partire dalla fine degli anni ’80. Quello era un tempo in cui di disturbi alimentari non si parlava, tanto che, quando mi definirono (…nelle definizioni si finisce per riconoscersi…) “anoressica”, trovai sul dizionario la prima grande beffa del sintomo che mi mangiava dentro: “anoressia = mancanza d’appetito…”. Oh…quell’alfa privativo…  Da lì una folta schiera di privazioni: il cibo, gli amici, il sonno, il piacere delle cose e dello stare con gli altri, i desideri, i progetti, il tempo, la speranza…la libertà…la mia vita. Tutto in nome di niente! “Mancanza d’appetito” …mentre io avevo fame di tutto, ma non riuscivo a concedermi alcunché! Mi ritrovai nel buio, nel silenzio, nel vuoto…e in un letto d’ospedale! Proprio lì mi si accese la prima grande luce -inaspettata, meravigliosa- nella mia notte più nera, grazie al medico a cui devo la vita.

Tra i tanti meriti che non smetterò di riconoscere al “mio medico”, c’è stato quello di avermi sempre lasciato intendere che dall’anoressia si guarisse. Ma si guarisse veramente, quindi integralmente. Non ho mai pensato che la meta di quel duro tratto di strada che stavo percorrendo potesse essere un benessere che sa di convivenza con la malattia e le sue frange. Per quanto, per tanti anni, io abbia controllato anche la piena guarigione, perché se avessi raggiunto la vetta, quale sarebbe stata, successivamente, la mia strada, la mia meta, il senso? La paura di riperdersi in quel buio, in quel silenzio e in quel vuoto è rimasta fortissima a lungo. Fortunatamente (non è questo l’avverbio giusto, perché la fortuna non c’entra, ma contano le persone che s’incontrano, gli scontri interiori, la volontà, la grazia), dopo tanti anni, mi è venuta la voglia di fare l’ultimo grande salto, quello con il quale mi sono conquistata la libertà, quello che mi ha permesso di provare a essere, ogni giorno di più, me stessa. Quando si decide che non se ne vuole più sapere di quella subdola compagna, perché essere suoi burattini non serve più, perché i vantaggi secondari della malattia non interessano e non sono utili alla vita piena a cui si anela, allora si smontano tutti gli schemi mentali a cui ci si era costretti ad ubbidire, si mettono in equilibrio i propri assetti emotivi. Quindi, mi sembra di poter dire che la guarigione piena (fisica, psichica e spirituale) sia, in ultima analisi, una “scelta” personale, frutto di un ampio e articolato lavoro su di sé. Il mio cammino personale, perciò, mi ha fatto passare da una strada incompatibile rispetto a quella del “non si guarisce mai del tutto”. E che cosa vorrà dire “mai del tutto”? Ma perché una persona che ha sofferto troppo per un disturbo alimentare, non si potrebbe concedere una vita “normale”? Che voglia viene, a chi è nel pieno della tempesta (che per tanto tempo non è consapevole della complessità di quell’enorme dolore che lo attraversa e che non ha il minimo desiderio di uscire dalla gabbia in cui si è rifugiato), di affrontare il mare e il mostro, se poi la meta è mediocre, non è un porto sicuro da cui ripartire serenamente, ma è un luogo da condividere con quello stesso mostro? Mah!! Per la mia esperienza, ha senso che io parli di speranza, di possibilità, di orizzonti belli e inaspettati, di rinascita, di gioia di vivere!
Ora la mia vita mi piace e la mia storia è tornata a essere mia, in toto. Anche i ricordi più dolorosi, che posso rievocare con tenerezza.
La memoria è apprendimento da se stessi.
In effetti, lo sguardo con cui percepisco me stessa, gli altri e la vita è figlio di un passato che si è rivelato generativo. Ed è buffo che io non riesca più a chiamare lotta, battaglia o combattimento quel lungo periodo impegnativo. Adesso mi sento pure “tutta intera”. A lungo, ho avuto la certezza che la mia vita sarebbe stata segnata, per sempre, da un’insaldabile frattura, che avrebbe diviso la mia esistenza in un prima e in un dopo. Nel mezzo ci stava quell’evento che mi aveva attraversata e sconvolta. Mi sbagliavo.
Ciò che attualmente vivo, sento e respiro è l’unità del mio essere persona, con il suo cammino, le sue fragilità, la sua umanità. E la voglia di gridare e testimoniare che la vita è bella, è un viaggio straordinario, da inventare, creare, reinventare e ricreare giorno dopo giorno, perché ciascuno possa essere una piccola tessera che, insieme alle altre, realizza un meraviglioso mosaico, divina opera policromatica.

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